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“<< Rewind” - Written by the artist friend Cesare Botto

Mezzanine Living

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L’arte, come espressione del pensiero libero dell’uomo, ha sempre fornito la possibilità di indagare, rappresentare e coinvolgere nelle più variegate forme di linguaggio, in modo evidente o metaforico, la società del suo tempo. Limitandoci all’ambito della pittura, è noto che grandi artisti come Caravaggio, Goya, Bacon, per citare solo tre esempi di epoche diverse, non fossero solo bravi pittori capaci di produrre opere di alto appagamento estetico, ma nel loro lavoro, al di là del tema evidente, denunciavano i mali che serpeggiavano nella stessa società che li sosteneva. Zygmunt Bauman, nel suo libro “L’etica in un mondo di consumatori” (Laterza 2010), sostiene che, a differenza dell’epoca precedente, quella della modernità solida, che viveva proiettata verso l’eternità, la modernità liquida non si pone alcun obiettivo e non traccia alcuna linea conclusiva; più precisamente essa attribuisce il carattere della permanenza unicamente allo stato di transitorietà. Ed è in questo stato di transitorietà che oggi operiamo costantemente bersagliati da troppe informazioni, da un’incessante flusso di immagini e da continue e innumerevoli-pretestuose formule concettuali, che aspirano al ruolo di dogma. La pittura, credo, possa ancora fornirci un’ancora di salvezza, forse almeno un’isola in cui rifugiarci, un terreno solido a cui fare riferimento. La capacità espressiva del colore, la potenza del segno e la inesauribile possibilità di inventare nuove forme per dare visibilità ad un pensiero, costituiscono gli ingredienti di cui l’artista dispone nel suo magistero. Senza distrarre l’attenzione con riflessioni troppo lontane nel tempo, ritengo di affermare che  la recente produzione artistica (ma vale in generale) altro non è che il frutto di ciò che il xx° secolo ci ha offerto e in gran parte influenzato. Non si può infatti ignorare il progressivo e inesorabile processo di mutazione dell’arte che, orientando sempre più l’attenzione sulle problematiche della vita nei suoi adattamenti a una civiltà dei consumi, all’integrazione razziale, alla convivenza con culture e confessioni diverse, ci ha condotti a considerare e, volendo, superare le barriere che ci dividono regalandoci modalità inedite di interpretazione e di sviluppo del nostro fare arte, ma senza la pretesa di porre alcuna linea conclusiva. Per parlare del mio lavoro, tendo a procedere in questa ottica prediligendo come supporto per i miei elaborati i materiali poveri, i pannelli pubblicitari abbandonati tra i rifiuti, le tele sciolte prive del telaio e della cornice, le tavole di legno scartate dall’industria e ogni elemento riciclabile, altrimenti destinato a inevitabile declino. In questa scelta operativa è insito il concetto di “rewind” inteso non come ritorno a modalità espressive del passato, ma volto ad un possibile reimpiego di ciò che la foga consumistica produce, denunciandone lo spreco, il disordine, l’inquinamento. Anche nella scelta dei colori prediligo l’utilizzo di prodotti neutri solubili in acqua, possibilmente privi di componenti chimiche, con preferenza per gli ossidi minerali naturali a ridottissimo tasso inquinante, che impasto e preparo personalmente. Infine, ma non ultima considerazione, va posta sul modus operandi che mi è proprio: dipingere in libertà, fuori dalle regole del mercato che inibisce la creatività, affidandomi all’improvvisazione e creando di volta in volta nuove regole e nuovi modelli. L’essenzialità dei segni, le forme astraenti, i toni contrastanti, sviluppano una dialettica fra ordine e disordine, fra pulsioni istintive e scansioni più controllate, fra trasformazioni metamorfiche ed elementi archetipici, fissati mediante un’esecuzione rapida e senza troppi ripensamenti. Questa in conclusione è la cifra stilistica che oggi mi rappresenta.